Là dove accoglienza fa rima con condivisione

6 Settembre 2022

A volte, bisogna chiedere alla lingua italiana un’eccezione, una licenza dettata da ragioni di cuore, e prendersi il permesso di giocare con le rime e le assonanze: per dare meglio l’idea, di quello che succede. Ed ecco che due parole bellissime, accoglienza e condivisione, possono finire con l’andare a braccetto e fare rima in un gioco meraviglioso in cui l’una non può fare a meno dell’altra.

Accoglienza. Condivisione.

In viaggio verso Roma, con il cuore leggero e la testa piena di pensieri. Paolo, Livio, Alessandro. E non pesa l’essersi alzati prestissimo, non pesa la stanchezza, non pesa la fatica: sul treno si potrebbe pure riposare, ma nessuno riesce a chiudere occhio. Come succede quando si va a un appuntamento, un appuntamento di quelli importanti.

A Roma, ad attendere, c’è un gruppo di persone che conta i minuti e le ore che passano. Con addosso quella speranza, che solo chi ha perso tutto e sta per ritrovare qualcosa può conoscere. Un gruppo di sessantasette afghani, scappati dal loro paese e dalla loro normalità, arrivati qui dopo troppo tempo e dopo troppe sofferenze, senza più nulla.

Di questi sessantasette, in cinque stanno aspettando noi. Una mamma, Nasima, e quattro dei suoi cinque figli: Sina, Nazanin, Yasir, Elyas. Il più grande ha 16 anni, il più piccolo 11. Il figlio maggiore, Reza, è rimasto a Teheran per stare con il nonno Ewaz: per lui, le autorità sanitarie hanno richiesto un periodo di quarantena. Ma arriveranno anche loro.

“Siamo andati a prenderli – racconta Paolo Zappa – per portarli a casa, nella casa di Locate che il cuore della gente del Vispe ha messo a disposizione e sistemato. Ce li siamo trovati davanti, e parlavamo tra noi con il linguaggio degli sguardi e il traduttore di Google anche e loro ripetevano in continuazione la stessa parola: grazie, grazie, grazie. Siamo stati con loro in attesa che sistemassero le lungaggini burocratiche, abbiamo portato i bambini a mangiare un gelato, insieme siamo andati a prendere il treno per tornare a quella che sarebbe stata la loro nuova casa”.

E ancora un viaggio, ancora su un treno, questa volta un viaggio di ritorno. E ancora cuori leggeri e testa piena di pensieri, con cinque compagni in più. Un viaggio breve, per chi ha alle spalle mesi di attese e assenze, di perdite e di nulla.

Un viaggio fino alla stazione di Rogoredo.

“Lì – continua Paolo – c’è stata la scena più forte. Qui, arrivata qualche mese fa dopo due anni terribili passati nel campo profughi di Lesbo, c’era la cognata di Nasima. Queste due donne non si vedevano da tempo, e noi possiamo solo immaginare che cosa abbiano passato in questi ultimi mesi. Vedere il loro abbraccio, un abbraccio interminabile, è stato davvero intenso. Quasi commovente”.

Ora, per questa famiglia, inizia una nuova normalità. “Il gruppo di Locate è attivissimo, sempre presente e motivato: si sono occupati e si stanno occupando di tutto. Ed è già iniziato il percorso di inserimento di questo gruppo: studieranno italiano, i bambini a settembre andranno a scuola, la mamma imparerà dove e come fare la spesa”.

Ecco, quelle due parole. Accoglienza e condivisione perché no, non c’è accoglienza senza condivisione e se c’è è solo una facciata, una moda. Accogliere una famiglia che ha bisogno di aiuto condividendo le nostre giornate, una nostra casa, il nostro tempo.

E non conosciamo un modo migliore per riempire il nostro cuore.

Articoli correlati