di Emanuele Distaso.
Si pensa che l’Africa sia un posto arido, secco e privo di vita, in parte è così, è vero, ma non qui. Qui nel cuore dell’Africa, qui nel buco dell’ombelico del mondo, qui in Burundi, non regna questa “regola”. Ogni singola cosa, pianta e in particolare le persone, sprigionano un affetto e un calore raro, unico e semplicemente naturale.
Sin dal mio arrivo qui a Mutoyi, ormai più di 2 mesi fa, ho percepito un calore che difficilmente ho sentito prima, un connessione naturale con le persone anche se non le conoscevo, che purtroppo in Italia è difficile da acquisire se non dopo tanto tempo che ci si conosce. Da quanto il tempo e le emozioni trascorrono velocemente qui, mi sembra ieri il momento del mio arrivo, eppure, in 2 mesi di cose ne ho fatte… Nei primi giorni dopo il mio arrivo noi laici (io, Seba e Temes) abbiamo visitato le diverse strutture avviate tempo addietro dal VISPE, come è consuetudine fare con i nuovi arrivi. E’ stato coinvolgente, vedere e percepire il sudore e la fatica con le quali i “grandi missionari” hanno iniziato ed edificato tutto questo. Sentire i loro racconti, le loro storie da casa, se pur affascinanti, non regalano le stesse emozioni che stare dentro nel posto del racconto. Ma dopo una piacevolissima settimana di visite egregiamente guidate, ero pronto a donare anch’io tempo e sopratutto fatica!
Mi ricordo bene, il primo lavoro fu giù in umwonga, ovvero l’unico posto dove si riesce a coltivare nel periodo della secca. Siamo scesi in questo fantastico paesaggio, pieno di piante di ogni genere e specie, ed in mezzo a questa raduna faunistica c’era l’umwuonga, questa distesa di campi, suddivisa in reticolati con ogni tipologia di verdura. Il primo momento in cui condividevo la fatica insieme alle sorelle e sopratutto insieme e CON gli abarundi. Poteva sorgere un solo problema nel lavoro, ovvero la lingua, ma anche questa capii fin da subito che non era un problema. Attenzione, non sto dicendo che non la studiassi e che non mi piaceva cimentarmi in questa nuova forma di dialogo, ma che per lavorare e comunicare con le persone, non serve conoscere distintamente la lingua, ma basta guardarsi negli occhi per capirsi… e forse due segni con le mani. Uno degli scopi principali di noi laici, era trovare l’Indipendenza, nel senso di riuscire ad essere organizzati in maniera autonoma con il “programma settimanale”. Difatti appena arrivai, ogni sera dopo cena, insieme a mama Fiore (la nostra ex-organizzatrice) decidevamo il da farsi dell’indomani. Oggi, a distanza di 2 mesi, invece siamo noi stessi che una volta alla settimana comunichiamo il nostro programma a mama Fiore. Tra i vari appuntamenti, siamo riusciti a trovare anche degli impegni fissi, come ad esempio il martedì con i ragazzi di basket, e il sabato la categorica partitella di calcio. Potrebbe sembrare “appuntamenti” banali in Italia, e di fatti lo sarebbe se fossimo li. Trovare un campetto, una tuta e delle scarpe è normale per un ragazzo Italiano, ma qui le cose cambiamo. I ragazzi solo per andare al campetto percorrono mezz’ora di strada, e una volta arrivati, il “campo” non è di quelli con l’erbetta fresca appena tagliata, ma magari una distesa di terra battuta non sempre in piano. Una sola cosa è certa, tutti questi comfort non servono qui, lo spirito di squadra, la competizione amichevole e soprattutto la voglia di giocare tutti insieme indistintamente, quella regna qui. Il lavoro sovrano qui, ovviamente è zappare. Le sorelle hanno una distesa considerevole di campi, e il loro/nostro principale impegno settimanale va destinato ad essi. Molto spesso però, ci capitano lavori di gruppo, e li spunta sempre l’occasione per fare amicizia e nuove conoscenze.
Ormai a noi “umuzungo” ci conoscono bene nei vari gruppo di lavoro delle diverse diverse cooperative e seminari, tanto che siamo stati invitati ad alcuni eventi importanti come il matrimonio di uno di loro o il battesimo della figlia di una coppia. Ognuno di noi poi, un paio di giorni alla settimana decide dove decicare la propria giornata, in modo non solo di essere indipendenti dalle sorelle ma anche fra di noi. Io ho deciso di ritagliare dello spazio per Nkuba, il centro che ospita persone di ogni età (soprattutto bambini) con diverse problematiche fisiche, psichiche o sociali. Mi sono dedicato a stare insieme ai bambini, far con loro disegni o lavoretti, passare una giornata diversa INSIEME a loro… un po’ come facevano i clown che tanto mi facevano ridere quando io ero il “bambino”, restituire un sorriso che mi era stato donato. Ho iniziato il discorso dicendo che in 2 mesi di cose ne abbiamo fatte, è vero sì, ma è niente in confronto al lavoro fatto dai “grandi missionari” dei racconti che mi hanno incuriosito e spinto qui, è niente in confronto a tutto quello che sto ricevendo da questa terra e dai suoi abitanti, è niente in confronto a tutto l’affetto e la gioia che questo posto mi sta regalando, è niente in confronto al debito di amore che ho verso le persone che mi hanno accolto, e soprattutto è niente in confronto all’immensità che è questo posto. Insomma, è vero noi missionari possiamo portare aiuto, lavorare e faticare insieme a loro, ma sono sempre più convinto che quando me ne dovrò andare da questo fantastico posto, lascerò una parte di me qui, e mi porterò via un pezzo indelebile di affetto, amore e gioia che resterà tatuato per sempre nel mio cuore.
Si pensa che l’Africa sia un posto arido, secco e privo di vita, in parte è così, è vero, ma non qui… qui in Burundi.
L’Afrique est-elle aride ? Pas le Burundi…
par Emanuele Distaso.
On pense que l’Afrique est un endroit aride, sec et dépourvu de vie, en partie, c’est vrai, mais pas ici. Ici, au cœur de l’Afrique, ici, dans le nombril du monde, ici, au Burundi, cette “règle” ne règne pas. Chaque chose, chaque plante, et surtout les gens, dégagent une affection et une chaleur rares, uniques et tout simplement naturelles.
Depuis mon arrivée ici à Mutoyi, il y a maintenant plus de deux mois, j’ai ressenti une chaleur que je n’avais jamais ressentie auparavant, une connexion naturelle avec les gens même si je ne les connaissais pas, ce qui malheureusement en Italie est difficile à acquérir si ce n’est après une longue période de connaissance. Comme le temps et les émotions passent vite ici, il me semble que c’est hier que je suis arrivée, et pourtant, en 2 mois, j’ai fait beaucoup de choses… Dans les premiers jours qui ont suivi mon arrivée, nous, les laïcs (moi-même, Seba et Temes), avons visité les différentes structures mises en place depuis un certain temps par VISPE, comme il est de coutume pour les nouveaux arrivants. Il était fascinant de voir et de sentir la sueur et le labeur avec lesquels les “grands missionnaires” ont commencé et construit tout cela. Entendre leurs histoires, leurs histoires de chez eux, bien que fascinantes, ne procure pas les mêmes émotions que d’être à l’intérieur du lieu de l’histoire. Mais après une semaine très agréable de visites bien guidées, j’étais prêt à donner de mon temps et, surtout, de mes efforts !
Je me souviens bien, le premier emploi était à umwonga, le seul endroit où l’on peut cultiver pendant la saison sèche. Nous sommes descendus dans ce paysage fantastique, rempli de plantes de toutes sortes et de toutes les espèces, et au milieu de ce rassemblement de faune et de flore se trouvait l’umwuonga, cette étendue de champs, divisée en grilles avec toutes sortes de légumes. Le premier moment où j’ai partagé le labeur ensemble avec les sœurs et surtout ensemble et AVEC l’abarundi. Il n’y avait qu’un seul problème avec le travail, la langue, mais j’ai compris dès le début que ce n’était pas un problème non plus. Attention, je ne dis pas que je ne l’ai pas étudié et que je n’ai pas aimé m’essayer à cette nouvelle forme de dialogue, mais que pour travailler et communiquer avec les gens, il n’est pas nécessaire de connaître clairement la langue, il suffit de les regarder dans les yeux pour se comprendre… et peut-être deux signes de la main. L’un de nos principaux objectifs, en tant que laïcs, était de trouver l’indépendance, c’est-à-dire d’être capable de s’organiser de manière indépendante avec le “programme hebdomadaire”. En fait, dès mon arrivée, chaque soir après le dîner, avec Mama Fiore (notre ancienne organisatrice), nous avons décidé de ce que nous allions faire le lendemain. Aujourd’hui, deux mois plus tard, nous communiquons nous-mêmes notre programme à Mama Fiore une fois par semaine. Parmi les différents rendez-vous, nous avons également réussi à trouver des engagements fixes, comme les mardis avec l’équipe de basket-ball des garçons, et le match de football catégoriel le samedi. Ces rendez-vous peuvent sembler insignifiants en Italie, et ils le seraient en effet si nous y étions. Trouver un terrain, un survêtement et des chaussures est normal pour un garçon italien, mais ici les choses sont différentes. Les garçons font une demi-heure de route juste pour aller au champ, et une fois arrivés, le “champ” n’est pas un de ceux dont l’herbe est fraîchement coupée, mais peut-être une étendue de terre pas toujours plane. Une chose est sûre, tous ces conforts ne sont pas nécessaires ici, c’est l’esprit d’équipe, la compétition amicale et surtout l’envie de jouer ensemble sans discernement, qui règne ici. Le travail souverain ici, c’est bien sûr le binage. Les sœurs ont une étendue considérable de champs, et leur/notre principal effort hebdomadaire y est consacré. Très souvent, cependant, nous avons des travaux de groupe, et c’est toujours l’occasion de se faire des amis et de nouvelles connaissances.
Entre-temps, nous, les “umuzungo”, nous nous connaissons bien dans les différents groupes de travail des coopératives et des séminaires, à tel point que nous avons été invités à des événements importants comme le mariage de l’un d’entre eux ou le baptême de la fille d’un couple. Chacune d’entre nous décide ensuite deux jours par semaine où passer sa journée, de sorte que nous ne sommes pas seulement indépendantes de nos sœurs mais aussi les unes des autres. J’ai décidé de faire un peu de place à Nkuba, le centre qui accueille des personnes de tous âges (surtout des enfants) souffrant de différents problèmes physiques, psychologiques ou sociaux. Je me suis consacrée à être ensemble avec les enfants, à faire des dessins ou des bricolages avec eux, à passer une journée différente ENSEMBLE avec eux… un peu comme les clowns qui me faisaient tant rire quand j’étais “enfant”, en rendant un sourire qui m’avait été donné. J’ai commencé le discours en disant qu’en deux mois nous avons fait beaucoup de choses, c’est vrai, mais ce n’est rien comparé au travail réalisé par les “grands missionnaires” des histoires qui m’ont intrigué et poussé ici, ce n’est rien comparé à tout ce que je reçois de cette terre et de ses habitants, ce n’est rien comparé à toute l’affection et la joie que ce lieu me donne, ce n’est rien comparé à la dette d’amour que j’ai envers les personnes qui m’ont accueilli, et surtout ce n’est rien comparé à l’immensité qu’est ce lieu. En résumé, il est vrai que nous, missionnaires, pouvons apporter notre aide, travailler et peiner avec eux, mais je suis de plus en plus convaincu que lorsque je devrai quitter cet endroit fantastique, je laisserai ici une partie de moi, et j’emporterai un morceau indélébile d’affection, d’amour et de joie qui restera à jamais tatoué dans mon cœur.
Les gens pensent que l’Afrique est un endroit sec, aride et sans vie, ce qui est en partie vrai, mais pas ici… ici au Burundi.