Sebastiano ci scrive:
Sono già passati tre mesi dal nostro arrivo in Burundi. Sembra ieri che ci ha raggiunto Emanuele, ma da allora è trascorso più di un mese. Il tempo è intenso, ma ci sembra stia volando, segno che di certo non ci si annoia. Le cose da fare sono tante, spesso molto varie. Ma ce n’è una che spicca in particolare e che ci siamo presi a cuore: riguarda il centro di accoglienza di Nkuba. Per chi non lo sapesse, Nkuba è il nome di una collina vicina a Mutoyi, vicina cioè al fulcro dell’attività missionaria del Vispe in Burundi. A Nkuba, il Vispe ha aperto, diversi anni or sono, un centro di accoglienza per diverse persone in difficoltà, soprattutto donne anziane rimaste sole, ragazze con disabilità per lo più motorie, e bambini orfani o comunque con genitori non in grado di poterli crescere adeguatamente. Tra ospiti e lavoratori, il centro conta circa 180 persone, la cui sussistenza richiede grandi quantità di fagioli, di riso, di patate e di altri alimenti. Per questo i campi coltivati per il centro di accoglienza sono veramente numerosi, molti dei quali situati nel fondovalle, esternamente al centro stesso, dove si può trovare acqua anche durante la stagione della secca e ottenere così più di un raccolto all’anno. In questo contesto, cerchiamo di dare una mano nei lavori nei campi. Attualmente lavorano per il centro due uomini fissi, mentre una decina di ragazzi circa sono assunti stagionalmente o pagati a giornata quando si devono fare lavori lunghi e faticosi che richiedono molta manovalanza. Ecco che in queste giornate, ci siamo messi anche noi al loro fianco. Raccolta di riso, fagioli, successiva battitura dei fagioli, semina nel fondovalle di patate, cavoli, patate dolci e ancora la sarchiatura e l’incalzatura delle patate… ecco sono stati solo alcuni dei lavori che abbiamo fatto assieme questo gruppo di giovani ragazzi, per cui mediamente più di un giorno di lavoro a settimana lo abbiamo passato con loro. E così sarà anche prossimamente: tendenzialmente un giorno a settimana andremo a lavorare in zona Gihogazi, un altro in una succursale come Masabo o Nyarugunda, e al di là di altri vari lavoretti che possono capitare, cerchiamo di tenerci comunque a disposizione per un paio di giorni a settimana, nell’aiuto nei campi di Nkuba.
Ora vi vogliamo parlare di due dei lavoratori stagionali che siamo andati a trovare nelle loro case, con storie difficili alle loro spalle:
Davidi, è un uomo di circa 40 anni, che abita sulla collina di Nkuba. Nel 2014 sua moglie ha contratto una malattia che si è aggravata con il passare del tempo, costringendola a letto per gli ultimi anni della sua vita. È venuta a mancare nel 2019. In Burundi, quando una donna si ammala in questo modo e non è più in grado di lavorare, spesso viene abbandonata o tradita dal marito. Davidi fortunatamente le è sempre stato fedele e vicino. In quel periodo difficile e delicato della sua vita, le Sorelle gli hanno dato la possibilità di lavorare per il centro di accoglienza di Nkuba, in modo da riuscire a mandare avanti la famiglia, che oltre a lui e la moglie malata comprende ben 5 figli, tutti minorenni all’epoca dell’inizio della malattia della loro mamma. Nel giugno del 2021, Davidi si è risposato, e grazie ai soldi messi da parte lavorando negli ultimi anni, è in possesso di un campo che può coltivare con la sua nuova moglie. In questo modo, ora che la sua vita è più serena, può cedere il posto di lavoro a chi sta vivendo una situazione delicata. Un ragazzo che ha potuto beneficiare di questo posto vacante è Jimmy, 16 anni. Tra i diversi ragazzi e uomini che lavorano stagionalmente, Jimmy è probabilmente quello nella situazione più bisognosa. Figlio unico, più di 10 anni fa suo papà ha tentato di accoltellare la moglie, fortunatamente sopravvissuta, la quale ora porta una grande cicatrice sulla pancia, ma quantomeno è salva. Da allora Jimmy vive con la mamma (separatasi dal pericoloso marito che nel frattempo è stato messo in prigione) e la nonna materna. L’infanzia difficile non ha certo aiutato Jimmy, il quale non è stato abituato a lavorare fin da piccolo. Pertanto rispetto ai suoi coetanei fa un po’ più fatica a lavorare, soprattutto in termini di resistenza fisica, ma sta comunque migliorando alla svelta. L’augurio è che possa continuare a farlo, e che il lavoro possa aiutarlo a crescere con la testa sulle spalle, nonostante la mancanza della figura paterna nella sua vita.
Altri spunti…
Una sera prima di cena dobbiamo fare una scappata allo stockage io e sorella Fiorenza. È già buio, troviamo una donna ferma ai margini della strada con a terra una grande fascina di erba. Le chiediamo se si sente male. Dice: “sono stanca, mi riposo un attimo e poi riprendo a camminare”. Ogni giorno si vedono donne, uomini e bambini che camminano con qualcosa in testa. Un sacco di mangime, una fascina di erba, un enorme casco di banane o addirittura un lungo tronco. Il mezzo di trasporto tipico dei poveri a Mutoyi, sono le proprie gambe. Chi è un po’ più fortunato ha una bici, mentre chi ha una moto o un’auto è ricco. La maggior parte delle persone però si muove a piedi. Chilometri e chilometri ogni giorno, ad ogni ora, anche dopo le 18 cioè quando ormai è buio. Senza pila, ovviamente, ma gli abarundi sono abituati e vedono bene anche al buio: non è uno scherzo! L’abituarsi a vedere queste scene mi ha fatto quasi pensare che loro proprio non sentano la fatica. In parte è vero, sono abituati fin da piccoli a camminare tanto e sicuramente hanno una resistenza alla fatica impressionante. Eppure sono comunque umani e vedere anche questo lato fragile è stato veramente toccante. D’altronde c’è poco da fare: i poveri nel mondo, vivono alla giornata e per sopravvivere devono fare fatica, non hanno alternative.
Mon… “mes pensées du Burundi”. L’histoire de 3 mois et de 2 personnes
Par Sebastiano
Trois mois se sont déjà écoulés depuis notre arrivée au Burundi. Il semble que c’était hier qu’Emanuele nous a rejoint, mais depuis, plus d’un mois s’est écoulé. Le temps est intense, mais il semble passer à toute vitesse, signe que nous ne nous ennuyons certainement pas. Il y a beaucoup de choses à faire, souvent très variées. Mais il y en a une qui ressort particulièrement et que nous avons prise à cœur : elle concerne le centre de réception de Nkuba. Pour ceux qui ne le savent pas, Nkuba est le nom d’une colline près de Mutoyi, proche du cœur de l’activité missionnaire de Vispe au Burundi. À Nkuba, Vispe a ouvert, il y a plusieurs années, un centre d’accueil pour diverses personnes en difficulté, notamment des femmes âgées laissées seules, des jeunes filles handicapées, principalement des handicapés moteurs, et des enfants orphelins ou dont les parents ne sont pas en mesure de les élever correctement. Entre les hôtes et les travailleurs, le centre compte environ 180 personnes, dont la subsistance nécessite de grandes quantités de haricots, de riz, de pommes de terre et d’autres denrées alimentaires. C’est pourquoi il y a tant de champs cultivés pour le centre, dont beaucoup sont situés dans le fond de la vallée, en dehors du centre lui-même, où l’on peut trouver de l’eau même pendant la saison sèche, ce qui permet d’obtenir plus d’une récolte par an. Dans ce contexte, nous essayons d’aider le travail dans les champs. Deux hommes permanents travaillent actuellement pour le centre, tandis qu’une dizaine de jeunes sont engagés sur une base saisonnière ou payés à la journée lorsqu’il s’agit d’effectuer des travaux longs et pénibles nécessitant beaucoup de travail manuel. Ces jours-là, nous avons donc également été à leurs côtés. Récolter le riz et les haricots, puis battre les haricots, semer les pommes de terre, les choux et les patates douces dans le fond de la vallée, ainsi que désherber et presser les pommes de terre… ce ne sont là que quelques-uns des travaux que nous avons effectués avec ce groupe de jeunes, si bien que nous avons passé en moyenne plus d’une journée de travail par semaine avec eux. Et c’est ainsi que cela se passera dans un avenir proche : nous aurons tendance à travailler un jour par semaine dans la région de Gihogazi, un autre dans une branche comme Masabo ou Nyarugunda, et en dehors des divers autres travaux qui peuvent se produire, nous essayons de nous tenir disponibles pour quelques jours par semaine, en aidant dans les champs de Nkuba.
Nous aimerions maintenant vous parler de deux des travailleurs saisonniers que nous avons visités chez eux, avec des histoires difficiles derrière eux :
Davidi, est un homme d’environ 40 ans, qui vit sur la colline de Nkuba. En 2014, sa femme a contracté une maladie qui s’est aggravée au fil du temps, l’obligeant à être alitée pendant les dernières années de sa vie. Elle est décédée en 2019. Au Burundi, lorsqu’une femme tombe ainsi malade et n’est plus en mesure de travailler, elle est souvent abandonnée ou trahie par son mari. Heureusement, Davidi a toujours été fidèle et proche d’elle. Durant cette période difficile et délicate de sa vie, les Sœurs lui ont donné la possibilité de travailler pour le refuge de Nkuba, afin qu’il puisse subvenir aux besoins de sa famille, qui compte cinq enfants, tous mineurs au début de la maladie de leur mère. En juin 2021, Davidi s’est remarié et grâce à l’argent qu’il avait économisé en travaillant ces dernières années, il dispose désormais d’un champ à cultiver avec sa nouvelle épouse. Ainsi, maintenant que sa vie est plus paisible, il peut céder son emploi à quelqu’un qui connaît une situation difficile. Un garçon qui a pu bénéficier de cette offre est Jimmy, 16 ans. Parmi les nombreux garçons et hommes qui travaillent de façon saisonnière, Jimmy est probablement celui qui est le plus dans le besoin. Enfant unique, son père a essayé de poignarder attività-fort heureusement survécu il y a plus de 10 ans, sa femme porte une grande cicatrice sur le ventre, mais au moins elle est en sécurité. Depuis, Jimmy vit avec sa mère (qui s’est séparée de son dangereux mari qui a depuis été mis en prison) et sa grand-mère maternelle. Son enfance difficile n’a pas aidé Jimmy, qui n’était pas habitué à travailler dès son plus jeune âge. Par conséquent, comparé à ses pairs, il a du mal à travailler, notamment en termes d’endurance physique, mais il s’améliore rapidement. L’espoir est qu’il puisse continuer à le faire et que ce travail puisse l’aider à grandir la tête sur les épaules, malgré l’absence d’une figure paternelle dans sa vie.
Autres idées…
Un soir, avant le dîner, Sœur Fiorenza et moi devons faire un tour au magasin. Il fait déjà nuit, nous trouvons une femme debout au bord de la route avec un gros paquet d’herbe sur le sol. On lui demande si elle se sent malade. Elle dit : “Je suis fatiguée, je vais me reposer un moment et ensuite je recommencerai à marcher”. Chaque jour, vous voyez des femmes, des hommes et des enfants marcher avec quelque chose sur la tête. Un sac de fourrage, un fagot d’herbe, un énorme casque de bananes ou même un long tronc. Le moyen de transport typique des pauvres de Mutoyi est leurs propres jambes. Ceux qui ont un peu plus de chance ont un vélo, tandis que ceux qui ont une moto ou une voiture sont riches. La plupart des gens, cependant, se déplacent à pied. Des kilomètres et des kilomètres chaque jour, à toute heure, même après 18 heures quand il fait nuit. Sans lampe de poche, bien sûr, mais les Abarundi y sont habitués et voient bien même dans le noir – sans blague ! L’habitude de voir ces scènes m’a presque fait penser qu’ils ne ressentent pas vraiment la fatigue. C’est en partie vrai, car ils sont habitués à marcher beaucoup dès leur plus jeune âge et ont certainement une résistance impressionnante à la fatigue. Pourtant, ils sont toujours humains et voir ce côté fragile d’eux était vraiment touchant. D’un autre côté, nous ne pouvons pas y faire grand-chose : les pauvres du monde vivent au jour le jour et pour survivre, ils doivent lutter, ils n’ont pas d’autre choix.